4 Marzo 2018
Africano a chi? La storia della nascita delle Alpi
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4 Marzo 2018
La storia della nascita delle Alpi di Michele Pregliasco ONCN CAI Savona.
In questo Articolo viene spiegato con un pizzico di ironia l’evento geologico più importante e forse più complicato dell’Italia: la nascita della catena Alpina. In un racconto denso di accadimenti e di risvolti drammatici che riguardano la fine dell’impero dei dinosauri e l’avvento di una nuova era della vita come oggi la conosciamo ci chiediamo se noi oggi siamo veramente europei. In effetti, a parte alcune regioni d’Italia, forse siamo molto più africani di quanto pensiamo.
Dire che le Dolomiti sono africane può sembrare bizzarro, eppure, l’intera Catena Alpina è un susseguirsi di rocce esotiche che si prendono gioco dei confini geografici tracciati dall’uomo nei suoi 6000 anni di storia, un istante se paragonato agli oltre 200 milioni di anni di storia geologica delle nostre montagne.
Le Alpi sono fatte di antichissime rocce africane ed europee e di ciò che rimane di quanto, all’epoca dei dinosauri, separava l’Africa dall’Europa: l’Oceano Ligure-Piemontese.
Il destino degli oceani e quello delle montagne sono legati insieme: per ogni oceano che scompare una nuova catena montuosa nasce. A questa regola non fa eccezione l’oceano dei dinosauri, ma per raccontare la sua storia dobbiamo fare un salto nel passato e portarci al periodo precedente il dominio dei grandi rettili e più precisamente a 250 milioni di anni fa.
A quel tempo la Terra vista dallo spazio ci sarebbe apparsa incredibilmente diversa: un unico super-continente, la Pangea, includeva tutte le terre emerse. Questa configurazione del pianeta comportava un clima caldo e arido e gli animali terrestri potevano spostarsi da un capo all’altro della Pangea senza incontrare mari o oceani da attraversare; una bella comodità! Era appena terminato ”l’esplosivo” periodo Permiano funestato da intensi e grandiosi fenomeni vulcanici che rigurgitarono quelle ceneri e quelle lave che oggi costituiscono i giacimenti di porfido altoatesini e la catena del Lagorai.
Con il passaggio al periodo Triassico si compiva il più grande delitto della storia, un’estinzione di massa uccideva il novanta percento delle specie conosciute, un’occasione unica che alcuni sopravvissuti colsero per impadronirsi del pianeta. Il clima torrido favoriva i rettili, che hanno bisogno del calore del sole per essere attivi (eterotermi) ed essi non persero l’occasione per ripopolare la terra con nuove specie. Non si trattava ancora dei grandi dinosauri che seguiranno da qui a poco, erano più piccoli, ma molto diversificati perché la natura cominciò a fare esperimenti: c’era chi si evolveva per correre, chi per camminare, chi per nuotare e ogni adattamento era lecito per sopravvivere nella competizione tra preda e predatore. I fossili dei rettili triassici si ritrovano oggi nelle Dolomiti (gola del Bletterbach) ma non mancano le impronte del loro passaggio lasciate in Piemonte (Passo della Gardetta) su antiche spiagge fangose solcate dalle onde del mare.
Il Triassico avrebbe fatto la fortuna degli stabilimenti balneari: un mare tropicale (chiamato golfo della Tetide) lambiva le coste europee e africane all’altezza dell’equatore, dal basso fondale emergevano isolotti vulcanici, atolli e scogliere coralline tra i quali si aggiravano i grandi rettili marini, come gli Ittiosauri conservati nel museo di Besano (VA). Peccato che l’Italia non ci fosse, o meglio non era ancora stata “assemblata”; le Dolomiti, così come alcune delle montagne più belle della val Maira, sono il ricordo di quel mare basso e caldo, nel quale gessi, anidridi, calcari e dolomie sedimentavano turbati, di tanto in tanto, dalle eruzioni vulcaniche.
Alla fine del Triassico due fatti inaspettati mischiarono nuovamente le carte: una nuova piccola estinzione si consumò e una profonda lacerazione s’insinuò proprio al centro della Pangea.
Questi eventi portarono nel Giurassico (200 milioni di anni fa) al dominio dei Dinosauri e alla frammentazione della Pangea: Africa ed Europa si allontanarono l’una dall’altra e in mezzo nacque l’Oceano Ligure-Piemontese. All’epoca dei dinosauri buona parte dell’Italia era sotto il livello del mare, ma è certo che i dinosauri passeggiarono sulle alcune spiagge giurassiche italiane come testimoniano i Lavini di Marco (TN) per fare l’esempio più famoso nelle Alpi.
La nascita di un oceano è il risultato della lacerazione della crosta terrestre dovuta a due placche, quella africana e quella europea nel nostro caso, che si allontanarono con una velocità di un paio centimetri ogni anno. Con questo ritmo, nell’arco di milioni di anni, l’Oceano Ligure-Piemontese si espanse raggiungendo un’estensione di circa mille chilometri. Man mano che le placche si allontanavano, i materiali vulcanici fuoriuscivano dalla lacerazione formando nuovo fondale oceanico di tipo basaltico. Sono gli stessi basalti che oggi troviamo in alcuni tratti della catena alpina, sul Monviso, nelle Alpi Liguri e in Val d’Aosta trasformati in altre rocce dal tipico colore verde chiamate ofioliti, testimoni dei fondi oceanici in espansione.
Con la fine del Cretaceo una nuova estinzione decreta la fine dei dinosauri, cosa che fece molto piacere ai mammiferi che, complice l’evoluzione, si apprestarono a diventare i dominatori della Terra. Nessuno sa dire se e in che misura vulcani, meteore e carestie abbiano avuto un ruolo nella caduta dell’impero dei rettili, quello che è sicuro e che anche il pianeta cambiò la sua configurazione geografica. Africa ed Europa invertirono il loro senso di marcia e, anziché allontanarsi, cominciarono ad avvicinarsi. Più esattamente fu l’Europa a muovere verso l’Africa e in questo viaggio si crearono i presupposti per la nascita delle Alpi. Vi ricordo che tra Africa ed Europa c’era l’Oceano Ligure-Piemontese che, assieme al continente europeo, avanzava verso la placca africana per sprofondare sotto di essa. Il margine Africano agì come un bulldozer raschiando i sedimenti sulla superficie del fondo oceanico che gli scorreva sotto, accumulandoli ai suoi piedi (i geologi lo chiamano cuneo di accrezione).
Quando tutto l’Oceano Ligure-Piemontese sparì sotto la placca africana, nulla più si frapponeva tra Africa ed Europa (ad eccezione del cuneo di accrezione) e i due continenti entrarono in collisione dando il via all’orogenesi Alpina.
L’effetto fu come spremere una caramella mou tra le dita. Le rocce cominciarono a piegarsi e ad avanzare sul continente europeo formando pieghe e falde che si sovrapponevano le une alle altre allo stesso modo in cui si formerebbero spingendo l’estremità di un tappeto. I terreni africani andarono a occupare le quote più elevate di questo edificio mentre la placca europea si incuneava sotto a quella africana. In mezzo ai due continenti rimasero “pinzati” e “stritolati” i sedimenti oceanici che, dopo essere stati portati a notevole profondità, ritornarono in superficie completamente trasformati dalle alte pressioni e temperature alle quali erano stati sottoposti. Si formarono così le rocce metamorfiche (calcescisti e micascisti) che caratterizzano la dorsale della catena alpina che si estende dalla Liguria alla Valle d’Aosta lungo quello che i geologi chiamano Dominio Pennidico. Non è raro trovare in questi terreni porzioni del fondo oceanico basaltico, anch’esso pesantemente trasformato dal metamorfismo di alta pressione a costituire le metaofioliti.
Lo scontro comportò un inspessimento della crosta terrestre che, compressa tra Africa ed Europa si sollevò di alcuni chilometri: erano nate le Alpi, ma anche l’Himalaya stava sorgendo sotto la spinta di India e Asia. Il sollevamento espose le cime delle montagne agli agenti atmosferici che cominciarono a smantellare la catena, in un’eterna lotta tra la velocità di sollevamento e l’azione disgregatrice del clima.
Il Cervino, ottimo esempio dell’efficienza della disgregazione meteorica, è ciò che resta della falda africana totalmente asportata nel corso del tempo, fino a riesumare i sottostanti sedimenti oceanici. E’ questa la ragione per la quale oggi il Cervino è uno scoglio africano in mezzo ad un antico oceano. In effetti, i più attenti avranno capito che l’edificio alpino è una sorta di tramezzino: la placca europea sta sotto, sopra c’è quella africana e in mezzo ci sono i sedimenti oceanici.
Oggi dello scontro tra Africa ed Europa rimane nelle Alpi una profonda cicatrice che separa due catene alpine che si sono propagate in senso opposte. Si tratta della Linea Insubrica, una serie di faglie ben visibili da satellite che costituiscono una linea continua che da Torino passa nel Canavese, in Valtellina, piega a nord al passo del Tonale, per passare a Merano fino ad arrivare nel Bacino Pannonico.
A Nord della Linea Insubrica le Alpi si sono propagate e piegate verso l’Europa, e pertanto sono state definite nord vergenti. Nel settore occidentale-centrale troviamo il continente europeo (Dominio Elvetico) magnificamente rappresentato dal Gruppo del Monte Bianco, confinante con i sedimenti oceanici, piegati e sottoposti a metamorfismo, del Dominio Pennidico nel quale svetta il Monviso. Non manca un pezzo del continente africano (dominio Austroalpino) che, giungendo da sud, si è staccato dalla placca di provenienza e ha “varcato” il confine della Linea Insubrica sovrapponendosi al Pennidico, dove, come spiegato per il Cervino, l’erosione ha lasciato solamente alcuni lembi: Dent-Blanche e zona Sesia Lanzo. Al contrario nel settore delle Alpi Orientali il minore sollevamento ha preservato l’Austroalpino, con buona pace di svizzeri e austriaci che oggi si trovano sotto i piedi terreni africani, interrotti da due “finestre” di erosione (Engadina e Alti Tauri) nelle quali affiora il Pennidico sottostante.
A sud della Linea Insubrica invece le Alpi Meridionali (dominio Sudalpino), tutte africane, sono state le ultime a essere state traslate e piegate, e puntando decisamene verso la Pianura Padana (sud vergenti) hanno finito per infilarvisi sotto. Prive di rocce metamorfiche di epoca alpina (non sono state trascinate in profondità dall’orogenesi), non mancano di fascino e bellezza come testimoniano le Dolomiti, dove sono magnificamente esposti quei terreni triassici e permiani che abbiamo raccontato all’inizio della nostra storia, in un’alternanza di rocce vulcaniche e sedimentarie. Sud Alpino è anche il super vulcano della Valsesia, balzato all’onore delle cronache geologiche per esser stato messo completamente a nudo nelle sue profondità dall’Orogenesi Alpina, un caso forse unico al mondo.
La Linea Insubrica non è la sola testimonianza dello scontro Europa-Africa, altri segni sono stati impressi nelle montagne e ci restituiscono un quadro più completo di quanto avviene nelle profondità della Terra. Chi provenendo dalla conca di Courmayeur e giunge ai piedi della maestosa catena del Monte Bianco si trova innanzi al Fronte Pennidico, una lunga faglia, qui sottolineata dalle valli Ferret e Vény, che separa il continente europeo dalla confinante falda oceanica pennidica. Lungo il Fronte pennidico, la placca europea s’immerge sotto la catena alpina per poi incontrare, in profondità, la placca Africana. Niente di nuovo rispetto a quanto narrato nella nostra storia delle Alpi, ma qui la faglia, inserita nel panorama del massiccio del Monte Bianco, assume connotati davvero suggestivi.
Altrettanto suggestivi sono gli ambienti sedimentari triassici-giurassici della micro placca Brianzonese che si alternano agli eventi vulcani Permiani che dalle Alpi Liguri vanno fino ai Grigioni e che sono meravigliosamente esposti in Val Maira. Il Brianzonese è un piccolo continente che nel Cretaceo (140 milioni di anni fa) fu separato dall’Europa dal nascente Oceano Vallesano e si trovò a essere un’isola a cavallo tra l’Oceano Vallesano e l’Oceano Ligure-Piemontese. I frequenti inabissamenti e le conseguenti emersioni conferirono a questo territorio una particolarità: le rocce sedimentarie furono erose durante i periodi di emersione per cui, pur avendo banchi di limitato spessore, documentano nell’insieme la sedimentazione di periodi molto lunghi. Inserito all’interno del Pennidico, il Brianzonese è caratterizzato dal metamorfismo che ha trasformato le rocce in porfiroidi, quarziti e marmi, cancellando molte testimonianze fossili.
Abbiamo così condensato 250 milioni di anni di storia geologica delle Alpi in poco più di 1500 parole, i geologi mi perdoneranno, spero, se ho usato termini imprecisi e attinto abbondantemente dal vocabolario popolare, molte cose sarebbero ancora da dire e da illustrare altre sono state terribilmente semplificate ma, spero, di aver dato all’escursionista qualche spunto per percorrere i sentieri delle nostre Alpi con maggiore consapevolezza geologica. Coloro che fossero particolarmente curiosi e volessero approfondire le loro conoscenze geologiche e naturalistiche possono ricorrere al sito www.digilands.it
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