Una rivoluzione culturale nel Club Alpino Italiano
Le origini
Sono passati ormai più di vent’anni da quel 4 maggio del 1991, giorno in cui veniva costituito a Milano, in seno al Comitato Scientifico Centrale, il Gruppo di lavoro per lo studio dell ’insediamento umano nelle Tene Alte, composto da 7 membri provenienti dalle varie anime del Sodalizio (“Rivista del CAI”, 5/1991).
Il Gruppo, in seguito noto semplicemente come Gruppo Tene Alte, intendeva denunciare il grave stato di emergenza culturale in cui si trovavano vaste plaghe della montagna italiana ormai abbandonate e promuovere una nuova attenzione alla montagna, orientata appunto alle “terre” prima ancora che alle “vette”, ovvero allo spazio vissuto alpino, troppe volte dimenticato in nome dell’attenzione alla “montuosità” fisico-naturalistica o tecnico-alpinistica.
Rivolgere lo sguardo alla “montanità” etnoantropologica, al ruolo “costruttivo” e “durevole” assunto dalla presenza dell’uomo, significava colmare un vuoto all’interno del Sodalizio, sulla scorta della sensibilità cresciuta nei decenni precedenti attraverso reportage, inchieste, servizi fotografici e documentari sul “mondo dei vinti” (Nuto Revelli), sugli “ultimi” (Gianfranco Bini), sugli “eredi della solitudine” (Gorfer). L’operazione avviata dal Gruppo Terre Alte si può leggere come un poderoso tentativo di “pronto soccorso culturale”. I soci per la prima volta venivano invitati ad essere custodi ed eredi dei “segni dell’uomo” provenienti da retroterra culturali spesso schiacciati dalla morsa urbanizzazione-spopolamento. E’ quanto viene suggerito nel 1997 anche da Annibaie Salsa, membro del Gruppo Terre Alte destinato a diventare presidente del Club Alpino nel decennio successivo: la rarefazione della presenza stabile dell’uomo di montagna evidenziava la necessità di “candidarsi ad eredi del patrimonio dei sentieri, segni visibili della presenza dell’uomo nelle terre alte”.
Le prime ricerche sulla “Montagna che scompare”
In una prima fase di attività, l’esito previsto per tali ricerche furono mostre, allestimenti museali, pubblicazioni delle risultanze. I gruppi “Terre Alte”, attivatisi un po’ in tutta Italia grazie all’intensa opera di “apostolato” del coordinatore Giuliano Cervi, in vent’anni hanno raccolto migliaia di schede di rilevamento e fotografie, organizzando mostre, convegni, campagne di scavo, realizzando monografie, tesi di laurea, studi, anche attraverso collaborazioni con università, enti di ricerca, altre associazioni, soprintendenze, enti locali.
Questa benemerita azione di catalogazione scientifica o documentazione museale dei “segni” della montagna ha certamente contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica e gli stessi montanari al rispetto del patrimonio culturale di cui erano in possesso, avviando a livello locale iniziative virtuose di recupero. Le ricerche sulla Valle Albano e nelle montagne di Feltre, sulle Vie del Sale liguri e sulla Via Francigena tra Aulla e Sarzana, sui segni della Grande Guerra nel fronte orientale e sulle dimore abbandonate del Monte Grappa o del Col Visentin, sulle incisioni rupestri in Toscana e sulle capanne a tholos dell’Appennino, su eremi e ricoveri pastorali della Maiella e sulla Via Micaelica tra Benevento e Monte Sant’Angelo, sono solo alcune tra le tante campagne di studio condotte con successo da singoli soci o intere sezioni, raccolte nel 1999 in una Mostra itinerante sui “segni dell’uomo ” nelle Terre Alte che ha fatto più volte il giro d’Italia negli anni successivi.
Le nuove prospettive: “La montagna che vive”
Nel frattempo andava però crescendo all’interno del Gruppo il bisogno di superare il pur benemerito obiettivo di catalogazione scientifica di reperti del passato. Quella “montagna vivente” all’inizio trascurata in nome di un interesse orientato solo ai luoghi dell’abbandono è tornata prepotentemente al centro dell’attenzione del Gruppo negli ultimi anni e ribadita in un articolo pubblicato sulla stampa sociale (Rivista del CAI, 6/2009).
Il nuovo obiettivo che si è posto il Gruppo è quello di andare oltre l’operazione un po’ archeologica di catalogazione di segni e manufatti a scopo museale. Si tratta, in altre parole, di prendersi carico della “montanità” con iniziative di rivitalizzazione che passano attraverso un nuovo patto tra città e montagna, aiutando chi ancora oggi sceglie di abitare e appartenere alle Alpi. Gli esempi non mancano: dalle forme di neoruralismo alle nuove vie di pellegrinaggio, dai working camps di volontari per la manutenzione di sentieri e paesaggi all’adozione di terreni in abbandono, dai documentari che raccolgono testimonianze di anziani testimoni e di giovani coraggiosi che tornano a vivere di mestieri tradizionali in montagna a gruppi di acquisto solidale di prodotti alpini in grado di far rinascere piccole economie locali. Sono tutte iniziative che hanno trovato spazio e sostegno nei recenti bandi per progetti “Terre Alte”, che da tre anni a questa parte il Gruppo ha promosso dal sito www.caicsc.it.
Un bilancio a vent’anni di distanza
Ma al di là delle attività portate avanti direttamente dal Gruppo o da soci che hanno deciso di impegnarsi in queste ricerche, forse la vera rivoluzione culturale del Gruppo Terre Alte si misura nell’aver contribuito a diffondere -o forse meglio a captare- una nuova sensibilità all’intemo della società e a trasferirla all’intemo del Club Alpino Italiano. Questa svolta culturale si può leggere in tre importanti cambiamenti della recente storia del Sodalizio, che il Gruppo Terre Alte ha contribuito ad avviare:
- l’avvio di una riflessione a tutto campo sulle finalità del Club Alpino Italiano e il dibattito sulla modifica dell’Articolo 1, in nome di una maggiore attenzione alla componente sociale della montagna, sancita dal 98° Congresso del Club Alpino Italiano di Predazzo (18-19 ottobre 2008);
- l’inserimento a pieno titolo della componente culturale all’interno dei titolati del Comitato Scientifico Centrale, che dal Convegno nazionale di Pescara del 19-20 settembre 2009 sono stati nominati Operatori Naturalistici e Culturali (ONC), bilanciando così almeno formalmente le competenze naturalistiche d’origine;
- la costante crescita del numero di soci in area appenninica, una montagna in cui l’attrazione alpinistica o fisico-naturalistica cede volentieri il passo a quella etno-antropologica, e ad una varietà di vissuti che costituisce la vera ricchezza e diversità della montagna mediterranea.
- Anche questa Agenda, in parte realizzata grazie ai contributi di componenti del Gruppo Terre Alte, rispecchia nel suo piccolo il nuovo molo culturale svolto da soci e sezioni del Club Alpino. L’intento è quello di tornare ad occuparsi di abitanti e non solo di abitati, e attraverso di essi preservare la diversità del rapporto tra uomo e montagna, troppo spesso minacciata oggi dalla specializzazione, standardizzazione e omologazione dei percorsi di sviluppo.
Mauro Varotto
(Coordinatore Gruppo di ricerca Terre Alte)
Tratto da: 150 anni di cammino del Club Alpino Italiano a cura di Ugo Scortegagna
L’attività del gruppo terre alte
Grazie all’ opera iniziale di “apostolato” del coordinatore Giuliano Cervi, i gruppi attivatisi un po’ in tutta Italia hanno raccolto migliaia di schede di rilevamento e fotografie, organizzando mostre, convegni, campagne di scavo, realizzando monografie, tesi di laurea, studi anche attraverso collaborazioni con università, enti di ricerca, altre associazioni, soprintendenze, enti locali. È stata così sensibilizzata l’opinione pubblica e gli stessi montanari al rispetto e al recupero del patrimonio culturale di cui erano in possesso. Tutta questa intensa attività di studio, dai segni dell’uomo in alta quota, dalle dimore del Grappa o del Col Visentin, dai segni della Grande Guerra nel fronte orientale alle incisioni rupestri della Toscana, dagli eremi e ricoveri pastorali della Maiella, alla Via Francigena tra Aulla e Sarzana, alla Via Micaelica da Benevento a Monte Sant’Angelo sul Gargano, viene raccolta nel 1999 in una mostra itinerante sui “Segni dell’ uomo” nelle Terre Alte che ha fatto più volte il giro d’Italia negli anni successivi. Dal 2005 il Gruppo estende la sua attività agli Appennini del Centro Sud.
Nel frattempo, però, all’ interno del Gruppo, notevolmente trasformato sia nella composizione che negli obiettivi, si sente il bisogno di superare il pur benemerito intento di catalogazione scientifica dei reperti del passato e di passare dalla “montagna che scompare” alla “montagna che vive”. L’articolo di Mauro Varotto, nuovo coordinatore, sulla Rivista del CAI del giugno del 2009, è il manifesto dei nuovi obiettivi che il CSC, attraverso il Gruppo si prefigge di raggiungere: prendersi carico della “montanità” con iniziative di rivitalizzazione che passano attraverso un nuovo patto tra città e montagna, aiutando chi ancora oggi sceglie di vivere in montagna. Dalle forme di neoruralismo alla riscoperta delle vie di pellegrinaggio, ai sentieri culturali, all’adozione di terreni in abbandono, all’acquisto solidale di prodotti alpini in grado di far rinascere piccole economie locali, alla produzione di documentari che raccolgano testimonianze di anziani testimoni e di giovani coraggiosi che tornano a vivere di mestieri tradizionali in montagna. Sono tutte iniziative che hanno trovato spazio e sostegno nei recenti bandi per progetti “Terre Alte”, che da tre anni a questa parte il Gruppo ha promosso dal sito www.caicsc.it.
Tratto da: 150 anni di cammino del Club Alpino Italiano a cura di Ugo Scortegagna
Componenti del Gruppo Terre Alte
- Mauro Varotto – coordinatore nazionale
- Sara Luchetta
- Stefano Duglio
- Luigi Jozzoli
- Dino Genovese
Riferimenti del coordinatore nazionale
Dott. Mauro Varotto
Dipartimento di Geografia – Università di Padova
Via del Santo, 26 – 35123 PADOVA
Tel.: 049.8274087 – fax: 049.8274099
E-mail: mauro.varotto@unipd.it